Il testo seguente rappresenta la SECONDA delle Dispense del
"Corso PER RICERCATORI" neo-laureati, di qualsiasi disciplina. La prima sua edizione si terrà in
Firenze, appena si sarà raggiunto il numero di 15 aspiranti frequentatori. La prima
edizione di questo Corso, configurato in incontri settimanali, per la durata di 6 mesi,
sarà a titolo gratuito. La data d'inizio del corso, il giorno della settimana e l'orario saranno
fissati in un incontro preliminare, nel quale sarà anche illustrato il programma di massima
e saranno accettate le iscrizioni dei frequentatori, il che non comporterà per loro alcun
impegno, se non quello morale di far sì che il corso risulti fruttuoso (nella pratica,
essi non dovranno apporre alcuna firma).
Si prega di segnalare la propria volontà di partecipare all'incontro preliminare,
indicando i dati necessari (cognome, nome, tipo di laurea, recapito), il giorno e l'ora
preferiti per tale incontro. Lo scrivente, autore delle dispense, propone la scelta:
"sabato, ore 15", ma terrà conto delle indicazioni in tal senso, da inviare al seguente recapito:
Acquaro Alberto - via Claudio Monteverdi, 82 - 50144 Firenze
tel.: +39 055/ 094.62.97 - E-mail : acquaro@dante2000.it
Il testo della Dispensa potrà essere "scaricato" gratuitamente, con un Clic
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AGLI ASPIRANTI RICERCATORI - DISPENSA 2
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RIFLESSIONE SUI RISULTATI DEL “PATERTEST”
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Firenze 6 giugno 2004
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Come già detto, i risultati delle prime applicazioni del
“Patertest”
rappresentano una tale anomalia rispetto alle comuni esperienze di ricerche statistiche, da indurre a
qualche riflessione. Come si può desumere dal capitolo di “DANTE 2000” dedicato alla statistica, il
“Patertest” è stato concepito allo scopo di portare un contributo alla soluzione dell’annoso problema
relativo alla possibile attribuzione a Dante del poemetto “Il Fiore” (una raccolta di 232 sonetti).
I dettagli di quella ricerca saranno tema di una esercitazione del “Corso per Ricercatori”. Qui,
vediamo se il comportamento anomalo del test, consistente nella sua sorprendente efficacia nel vagliare
la paternità dei testi, possa trovare una qualche giustificazione, magari, guardando ai fenomeni dal
nuovo punto di osservazione consentito dalla rivoluzione culturale e non abbandonando la nostra
“semplicità”, il che non comporta certo la rinunzia al rigore logico.
Una consolidata tradizione del nostro mondo accademico prevede la
distinzione tra scienze pure e scienze applicate.
Ad esempio, la Matematica, oggetto principale di studio
alla Facoltà di Matematica, e le scienze rivolte alle sue tante applicazioni, che si studiano nei
Politecnici. Vediamo di cogliere la sostanziale differenza tra i due tipi di scienza. Nel caso del
nostro esempio, la prima consiste nello studio di strutture logiche coerenti, eventualmente legate tra
loro, che non hanno necessariamente riscontro in una realtà osservabile e, in particolare, nel nostro
ambiente; al contrario, i procedimenti matematici usati dai nostri ingegneri devono avere tale
riscontro. In altri termini, la Matematica pura NON è una scienza
sperimentale, mentre la Matematica applicata lo è.
Se facciamo nostro il precedente assunto, allora dovremo criticare
dizioni comuni, come quella di “Fisica pura” o di “Chimica pura”. In tal caso, dovremmo usare, piuttosto,
le dizioni “Fisica di base” e “Chimica di base”,
che indicano, entrambe, scienze sperimentali e vanno
distinte, come campo di attività, dalle scienze che si curano di applicazioni particolari dei rispettivi
principi.
Nell’ambito della Matematica pura
possono essere definite teorie diverse, anche in antitesi tra loro, e tutte valide, se coerenti al loro
interno. In altre parole, le nostre menti hanno a disposizione strutture logiche (software) che ci
consentono di “programmare innumerevoli giochi”, basati sulla fantasia o sulla nostra realtà, tutti
validi, se funzionano. Questo software è nei nostri DNA; da quanto tempo?
Non lo sappiamo, ma sappiamo che è lo stesso software usato dai nostri progettisti. A questo punto,
forse, risulteranno spontanee delle domande: ma, se i nostri progettisti ci hanno fornito il software
per trattare una scienza pura, come mai non hanno fatto analoga cosa per le scienze applicate? È stato,
da parte loro, un atto di sadismo il sottoporci all’immane fatica di costruire con sudore il nostro
progresso?
Nella risposta alla precedente domanda è, forse,
la chiave per comprendere un aspetto essenziale della nostra esistenza.
Se i nostri progettisti ci avessero rifornito
di tutto il software in loro possesso, questo non sarebbe stato un atto di creazione, ma semplicemente
la produzione di una loro copia, in grado, come tale, di vivere solamente
il loro mondo. L’operazione
sarebbe stata, per loro, semplicissima, tanto semplice che stanno insegnandola persino a noi, se
pensiamo che già siamo in grado di clonare i primi esseri viventi (si pensi alla pecora Dolly).
Ben altra cosa è la progettazione di una “creatura autonoma”, che abbia, cioè, la potenzialità di
adattarsi e crescere in un ambiente non conosciuto a priori; si tratta di un’operazione di una
complessità dimensionalmente superiore, che comporta il concepimento e la scrittura di un software
dedicato alle nuove creature. Clonando la pecora Dolly, noi abbiamo semplicemente ottenuto una
brutale copia di un essere vivente, conoscendo poco o nulla del suo software, cioè non variandolo
in alcuna sua parte o, per dirla diversamente, non aggiungendo neppure “un atomo” di intelligenza,
che non fosse già in lui.
Dal discorso fatto, forse, traspare la concezione per la quale il
nostro mondo può essere pensato come un anello di una catena di mondi, che
creano al loro interno altri mondi, dando luogo ad una serie di “scatole cinesi”. La nostra mentalità
ci porta allora a pensare alla possibile prima scatola all’inizio di questo strano gioco. Ma tale
conoscenza è e sarà sempre fuori dalla nostra portata. Noi, grazie al nostro nuovo punto di osservazione,
reso disponibile dalla rivoluzione culturale in atto, possiamo dire qualcosa della
scatola che ci sta progettando, molto e sempre di più della scatola in cui viviamo e tutto della scatola
che stiamo iniziando a progettare all’interno del nostro mondo. Null’altro ci è concesso. Non è
certo il caso, però, di proseguire su questo argomento, che ci condurrebbe lontano dal tema che stiamo
trattando. Chi fosse interessato, può “scaricare” dal sito Web www.dante2000.it il contenuto di una
pubblicazione dello scrivente ( “XYZ”, Firenze 1991 ) nella quale l’argomento
è trattato in maniera più diffusa.
In questa sede ci interessa mettere in evidenza che le nostre menti
hanno a disposizione il software scritto per trattare problemi matematici, indipendenti dall’ambiente
vissuto, lo stesso software usato dai nostri progettisti. Per stringere ulteriormente sull’argomento
oggetto del presente scritto, veniamo alla Statistica e riportiamone la definizione resa dal dizionario
Devoto-Oli: “Scienza che studia con metodi matematici fondati sul calcolo delle probabilità i fenomeni
interessanti collettività di individui ”. Questa definizione è data pensando all’uso che la tradizione
ne ha fatto. A noi interessa sottolineare che essa si fonda su concetti e procedimenti matematici, non
legati ad ambienti particolari, il che la rendono adatta a studiare fenomeni che
trovino la loro origine nel profondo e non dipendano molto da aspetti particolari dell’ambiente,
da aspetti tipicamente culturali, di origine “superficiale”. Veniamo finalmente al nostro “Patertest”.
Il problema era quello di accertare se la Statistica potesse o meno
portare importanti indizi per accettare o rigettare l’ipotesi che Dante sia stato l’autore del poemetto
“Il Fiore”, una raccolta di 232 sonetti. Avendo, inoltre, a disposizione un campione di 55 sonetti di
Dante e circa 800 sonetti di diversi autori a lui coevi, sono stati costituiti 15 campioni, ognuno di
55 sonetti, che potevano dar luogo a 105 confronti. La notevole base di sperimentazione dava la
possibilità di scegliere liberamente le specifiche dello studio statistico. La scelta principale da
fare riguardava il “livello grammaticale” dello studio stesso; uno dei
possibili, dal livello lessicale sino a quello stilistico; tutte scelte plausibili, sensate e che
sarebbero venute in mente ad un accademico. Noi, però, non guardavamo al problema dal punto di vista
dell’accademico, ma dal punto di vista al quale ci ha abituato la nostra rivoluzione culturale e
abbiamo ragionato nella maniera seguente.
Partendo dall’assunto che la Statistica è per sua natura adatta allo
studio di fenomeni “naturali”, abbiamo pensato che la considerazione di aspetti fortemente legati ad
ambienti particolari potesse costituire un elemento di turbativa per lo studio. Ricorrendo alla
irriguardosa metafora, secondo la quale siamo abituati a pensare alla Statistica come all’
“occhio di Dio”, sarebbe come se noi imponessimo a Dio di guardare ai
fenomeni naturali usando un paio di occhiali non adatti alla sua vista. Ebbene, se è vero che ogni
forma di linguaggio da noi concepita è fortemente dipendente dall’ambiente, il nostro studio
necessariamente conterrà in sé un elemento di turbativa, in quanto usiamo campioni costituiti da
informazioni espresse mediante un linguaggio, nel nostro caso, il Volgare italiano. E’ pur vero che
i “linguaggi naturali”, fra tutti i linguaggi possibili, sono quelli più
vicini agli schemi della natura, ma anch’essi dipendono fortemente dall’ambiente, tanto che ne sono stati
prodotti in grandissimo numero. Non potendo evitare di imporre a Dio un paio di nostri occhiali,
dobbiamo almeno avere la cortesia di sceglierli più “leggeri” possibile. Se è vero tutto questo,
dovremo scegliere, fra i possibili livelli grammaticali di studio, il più basso
possibile. Ad esempio, il livello stilistico, forse il preferito dagli accademici, dal nostro
punto di vista è quello con maggiore potere distorcente. Dobbiamo abbassare al
massimo il livello grammaticale. Allora, giungiamo subito a quello lessicale. Questo va molto
meglio, ma non è possibile andare oltre? A questa domanda, l’accademico inizia a guardarci come si
guarderebbe un sedicente Napoleone. Insistiamo: non importa che la cosa non abbia senso; si può andare
oltre? L’accademico: “Ma non vorrà, per caso, studiare l’uso delle singole lettere dell’alfabeto?”
Tranquilli, rispondiamo: “E perché no?” Quel certo sorriso di
compatimento, al quale ci stiamo ormai abituando, appare sulle labbra dell’accademico. Il discorso è
chiuso. Abbiamo perso un amico.
Di fronte al dramma della perdita di un’amicizia, ci domandiamo
quale sia stata la causa della incomprensione. Entrambi dicevamo cose sensate.
Ciò che ci distingueva era il punto di osservazione: a quello tradizionale
dell’accademico, si opponeva il nostro, quello proposto dalla rivoluzione culturale in atto. In un certo
senso, è come se si vivessero mondi diversi, ognuno dotato di un proprio “senso comune”.
Insensibili alla disistima del vecchio amico e fiduciosi, abbiamo iniziato la ricerca. E’ nato il
“Patertest” e ha dato subito i risultati sperati. Alla comprensibile sensazione di appagamento, però, ha
fatto seguito, in noi un senso di stupore per la misura dell’efficacia del
test. Esso, infatti, non si limitava a distinguere con facilità autori diversi, ma,
addirittura, era in grado di rilevare variazioni nel tempo dello scrivere di uno
stesso autore.
Risolto facilmente il problema della ipotizzata attribuzione a Dante de “Il Fiore”, presi da sacro
furore, ci siamo impegnati ad indagare sulle effettive potenzialità del test.
Abbiamo iniziato ad applicarlo a campioni, non più di componimenti poetici, ma di prosa. Poi abbiamo
verificato una caratteristica, che davamo quasi per scontata: l’indipendenza del
“Patertest” dalla lingua considerata; sono state fatte prove relative a scrittori contemporanei
inglesi. La serie di prove fatte è lontano dal potersi considerare esaustiva e anche chi scrive non
conosce con esattezza i limiti del test, o meglio, quali siano i fenomeni naturali che esso è in grado
di esplorare, però le prove sinora fatte consentono già di dire qualcosa.
La prima considerazione che ci viene spontanea, anche per la nostra
familiarità con il mondo della Fisica, riguarda il possibile confronto delle potenzialità del “Patertest”
con quelle di uno spettroscopio. Come si sa, questo ha la funzione di
distinguere, in un fascio di luce policromatica, le sue componenti, separando le onde elettromagnetiche
di frequenze diverse. In Astrofisica, ad esempio, tale strumento si adopera per studiare la composizione
chimica delle massi stellari, in quanto ogni elemento chimico emette onde di frequenze definite. Ebbene,
il nostro test sembra avere un funzione analoga, cioè quella di rilevare,
dall’insieme caotico dei caratteri di uno scritto, alcune caratteristiche del suo autore.
Facciamo convergere l’attenzione su ciò che avviene quando produciamo uno scritto. La sua funzione è
evidentemente, quella di trasmettere delle informazioni; quali sono queste informazioni? Pensiamo che,
se fossimo in grado di coglierle tutte, rimarremmo molto sorpresi dalla enorme quantità d’informazione
contenuta in una riga di scritto.
Solamente una parte di queste informazioni, pensiamo minima, viene trasmessa in
maniera consapevole ed è costituita dal nostro pensiero che vogliamo far conoscere. La maggior
parte delle informazioni viene trasmessa inconsapevolmente; queste sono in genere dipendenti da nostre
caratteristiche: da umori del momento, dal grado della nostra cultura o da nostri tratti di fondo o
caratteriali, dalla nostra indole, come, ad esempio, la forza creativa, la sensibilità, il gusto, la
fermezza, e così via. Ebbene, sembra che il “Patertest”, trascurando completamente lo scopo consapevole
del messaggio, vada a cogliere le informazioni trasmesse inconsapevolmente. Se noi sottoponiamo al test
una serie di scritti successivi dello stesso autore, plausibilmente, esso filtrerà gli umori del momento
e si limiterà a rilevare le caratteristiche dovute alla cultura e quelle dovute all’indole.
Queste ultime sono caratteristiche “scritte” nel nostro DNA.
Sulla base delle prove fatte, possiamo dire altro:
sembra che il “Patertest” sia di gran lunga più “sensibile” alle informazioni
legate al nostro codice genetico che a quelle relative alla nostra cultura. Questo lo abbiamo
desunto da due risultati sperimentali. Il primo riguarda la ricerca su “Il Fiore”: la
“straordinaria” efficacia del test nel distinguere testi di autori diversi,
di fronte alla “sufficiente” efficacia nel cogliere i mutamenti nel tempo
dello scrivere di uno stesso scrittore. Il secondo risultato significativo, nel senso predetto,
riguarda un episodio risultato divertente, come spesso avviene nella ricerca. Il test su autori
contemporanei inglesi consisteva nella preparazione, da parte di una nostra collaboratrice inglese,
di 15 campioni di testi, fra i quali erano due coppie dello stesso autore. Ovviamente, lo scrivente era
all’oscuro delle paternità dei singoli campioni, che erano stati battezzati con le prime 15 lettere
dell’alfabeto. Passato il test (i tempi di esecuzione, una volta scritti i programmi opportuni, sono
brevissimi), avemmo una grande delusione: dai risultati non si potevano nettamente desumere solamente
DUE coppie di testi dello stesso autore, ma risultava in forse l’esistenza di una terza coppia.
Sconfortati, telefonammo all’amica inglese, per comunicare i risultati. I primi due accoppiamenti
erano quelli attesi, il terzo no. Dopo qualche istante di silenzio, sentimmo un’esclamazione:
“Bellissimo!”. Confusi e un po’ seccati, trovammo fuori luogo quel commento, ma poi lo condividemmo
subito, non appena la signora disse: “Il terzo accoppiamento riguarda gli scritti di
due sorelle.” La circostanza non era stata voluta e ciò sta a dimostrare
come, spesso, nella ricerca occorre avere anche fortuna. A tal proposito, del resto, chi avrebbe mai
pensato al “Patertest”, se non ci fossimo imbattuti nel problema relativo a “Il Fiore”?
Vogliamo concludere qui il discorso sul “Patertest”, che
riprenderemo nelle esercitazioni, osservando che, al di là delle ricadute applicative che esso può avere
in tante attività, alle quali accenneremo brevemente, il fatto importante è che
questo test può essere considerato come una prova sperimentale dell’acquisizione
di un nuovo possibile punto di osservazione, consentito dalla rivoluzione culturale in atto.
La prima applicazione del test è avvenuta in campo letterario e, a
tal proposito, ci sentiamo di affermare che il suo altissimo grado di affidabilità consente senz’altro
di attribuire ai suoi risultati la dignità di prova, almeno nella misura
concessa alle comuni “prove storiche”, che vanno sempre corredate con una probabilità, mai nulla, che
rappresentino dei “falsi storici”. Per trovare, poi, altre applicazioni del “Patertest”, basta dare
libero sfogo alla fantasia.
Sempre in campo letterario, sono possibili studi di estremo interesse sulla
evoluzione dei linguaggi naturali. Ne abbiamo iniziato uno sulla lingua
italiana e sono già stati conseguiti risultati rilevanti. Pensando all’applicazione del test in altri
settori operativi, riesce naturale pensare subito alle attività di “intelligence”, ma a noi viene alla
mente un’altra applicazione, che servirebbe molto alla ottimizzazione delle
strutture organizzative delle società. Il “Patertest” potrebbe consentire, infatti, di realizzare
batterie di test con la finalità di accertare la inclinazione naturale di un
individuo all’esercizio di una data attività. Simili strumenti potrebbero, ad esempio, aiutare
i giovani nella scelta dell’indirizzo scolastico e della facoltà universitaria più consoni alle proprie
inclinazioni.
Mentre per i casi predetti, tali test potrebbero essere solamente di aiuto durante il corso degli studi,
renderemmo, invece, obbligatori opportuni test per l’accesso alle varie
professioni, soprattutto a quelle per le quali è indispensabile una particolare predisposizione,
come nel caso dei ricercatori e degli insegnanti (ricercatori mediocri non servono
a nessuno e insegnanti non all’altezza producono danni incalcolabili). Pensiamo che prove del
genere, ben condotte, possano finalmente assicurare un’adeguata selezione all’accesso al mondo
accademico. Siamo del parere che avrebbe bisogno di simili regole soprattutto il nostro Paese, ove,
a fronte delle enormi potenzialità che la natura ci ha offerto, siamo giunti a tal punto, che la capacità
di far ricerca, in genere, oggi costituisce un serio ostacolo al dovuto sostegno da parte della società.
Viviamo un paradosso: nel paese che potrebbe essere il leader mondiale nel
campo della ricerca, questa è oggi quasi totalmente nelle mani di persone mediocri, occupate unicamente
a gestire le loro posizioni di potere.
--== o ==--
NOTA : Le parti seguenti delle presenti dispense saranno rese disponibili, sempre
gratuitamente, al capitolo "Novità" del sito www.dante2000.it .
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( Alberto Acquaro )
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